lunedì 16 maggio 2016

Un ragazzo d'oro di Pupi Avati. 2014

Dedicato a chi pensa che la narrativa sia solo un sogno inarrivabile. Ad un ragazzo d'oro muore il padre.Sucidio? Distrazione? Oppure peggio, omicidio? I racconti di Davide vengono rifiutati dall’ennesimo editore, il quale gli suggerisce di scrivere un romanzo. Ma lui non ce la fa. E’ un salto troppo in alto. E poi: “Se avessi scritto Sotto il vulcano… non sarei certamente qui”. Scamarcio ha una dizione snob, quella puzza sotto il naso fastidiosa nei confronti del passato da cinematografaro pop del papà, una insistita retorica (“Io ho chiuso con la scrittura!”) e il piacere tipico dei frustrati di naufragare nell’autocommiserazione sfruttando vigliaccamente “quel rapporto orrendo” col papà per giustificare ogni fallimento. Alla morte del padre torna a Roma, nella casa natia, e come in L’inquilino del terzo piano di Polanski perde l'identità per vestire quella del genitore morto, nel vano tentativo di capirlo, finalmente, e riscattarlo. Del tutto inutile la storia con la fidanzata Silvia (la Capotondi) e proprio ridicole alcune scene, e, sorvolando sul penoso doppiaggio della protagonista di Basic instinct, l'impressione generale non si discosta molto da quella di trovarsi dinanzi ad una noiosa puntata di una soap opera.

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